sabato 12 settembre 2009

Reporter con la matita


Fumetti che raccontano storie di un altro mondo. Storie di guerre, di pace, drammatiche, romantiche, che strappano sorrisi. Da Bashir a Persepolis, tante sono le narrazioni che passano dalla carta al cinema, che trasformano un fumetto in graphic journalism. Un reportage pop, per raccontare la propria terra e la sua storia a chi non la conosce: c’è chi lo chiama fumetto di realtà, ed è una nuova tendenza per accendere i riflettori su luoghi e vicende spesso lontane dalla copertura mediale.

Come la storia di Aya de Yopougon, graphic novel già indicata come la Persepolis africana, che sbarcherà nelle sale cinematografiche nel 2011. Le avventure dell’adolescente ivoriana hanno già conquistato il premio Révélation al Festival internazionale dei fumetti di Angouleme, in Francia, e stanno per essere pubblicate anche in Italia per Rizzoli Lizard.

L’autrice di Aya, Marguerite Abouet, si trasferì in Francia nel 1983 all’età di 12 anni, ed ora è assistente in uno studio legale, con molte storie di integrazione e pregiudizi da raccontare. “Quando sono arrivata ai compagni del ginnasio dicevo che in Africa cacciavo i leoni con mio padre, e loro ovviamente ci credevano” Aya, saggia e bella, tenta di spazzare via tutti gli stereotipi che l’Africa trascina con sé agli occhi degli occidentali: insieme alle sue amiche, è alle prese con papà gelosi, matrimoni combinati, corteggiamenti maldestri di ragazzi ivoriani.

Grazie ai disegni di Clement Ouberie, Marguerite ci ha raccontato il suo villaggio, Youpougon: è un Africa lieta e leggera, che stride con l’immagine di un continente che molto spesso è visto solo come Aids, guerre e fame. Un modo intelligente per dimostrare che i media sono in grado di raccontare, con codici anche legati all’intrattenimento, storie dimenticate. *l’intervista è tratta dal Magazine del Corriere della Sera del 26/03/09

Reporters with pencils

Comics that tell us stories from a other world. Stories about war, peace, dramatic, poetical, that make us laugh. From Bashir to Persepolis, there are a lot of stories that move from paper to movie screen, that can change a comic into graphic journalism. A pop reportage to tell a country and his history to those who doesn’t know it: someone call it reality comic. Thank to this new trend, writers can put on the spotlight on places and facts that are often far from the media coverage.

As the story of Aya de Yopougon, a graphic novel that someone considers as the African Persepolis. It will become a movie in 2011. The adventures of the young Ivorian girl have already gained an award at the International Comics Festival of Angouleme, in France. The book is going to be published even in Italy, by Rizzoli Lizard.

The author of the novel, Marguerite Abouet, moved to France in 1983, when she was 12. Now she works as assistant in a law office, and she has a lot of tales about integration and prejudice to tell: “ I told to my classmates that, when I lived in Africa, I used to haunt lions with my father. They obviously believed in it.”

Aya, beautiful and wise, tries to delete all the stereotypes that Africa brings whit her: along with her friends, she fights with jealous dads, combined marriages and the gauche courtships of Ivorian guys.

With the pictures of Clement Ouberie, Marguerite has painted us her village, Youpougon: it is an Africa glad and mild, that collides with the image of a continent often seen as Aids, war and starvation. An intelligent way to prove that medias are able to narrate, even in entertaining ways, forgotten stories.

lunedì 31 agosto 2009

Se la Cina parla arabo...


Un nuovo canale.
La Cina è pronta ad inaugurare il suo primo canale satellitare in arabo. Dopo le trasmissioni in inglese, francese e spagnolo, la Cctv, la televisione di stato cinese, si prepara a sbarcare in Nord Africa e Medio Oriente. Intrattenimento, news e programmi educativi saranno diretti ad un bacino di circa 300 milioni di persone in 22 paesi.

Grandi progetti.
Gli obiettivi sono ambiziosi. Altrimenti non si spiegherebbero i cinque miliardi di euro investiti nel progetto. Perché non si parla solo di informazione, ma di quanto sia labile il confine tra questa e la propaganda. È ben noto anche a Pechino, infatti, come i media siano sottili diffusori di idee, ideologie, modelli di comportamento. E a Pechino sanno bene anche quanto questi siano importanti, se si aspira ad acquistare importanza nello scacchiere mondiale: sul soft power, quell’ insieme di cultura, ideali condivisi, identità civica, gli Stati Uniti ci hanno costruito gran parte delle fondamenta del loro impero.
E così, gioca la carta televisiva. A calare l’asso per primi sono stati gli anglosassoni: BBC e CNN non sono solo indistruttibili corazzate informative, ma anche potenti veicoli di diffusione culturale. E Pechino ha imparato la lezione: l’espansione economica e strategica non può non passare per la cultura; soprattutto ora, quando tutto il mondo è a portata di telecomando.

Scelta oculata.
La scelta del mondo arabo è lungimirante: la possibilità di stringere relazioni con i paesi di quella che viene definita nuova via della seta è un’occasione troppo ghiotta per lasciarsela scappare, soprattutto quando ci sono da vincere le resistenze del mondo islamico che cerca spiegazioni riguardo il sangue versato nella regione a prevalenza musulmana dello Xinjiang. Vicende per le quali il governo cinese accusa un coverage parziale e difforme dei reporter occidentali, etichettati come “prevenuti”.

I precedenti
Insomma, più si allarga il mercato mediatico, più si sente il bisogno di alzare la voce, di far sentire la propria versione dei fatti, come era successo con Al Jazeera, il cui slogan recita proprio ” l’opinione e l’opinione contraria”. L’emittente satellitare del Qatar nasce, infatti, con la vocazione ad essere l’altra faccia della medaglia: è stata proprio la Guerra del Golfo, zenit dell’americanissima CNN, a far sentire ai paesi arabi la mancanza di voci in grado di diffondere l’informazione con una sensibilità più vicina ai propri interessi strategici e geopolitici. E poi, scelte indovinate, come la copertura approfondita della Seconda Intifada, o la decisione di aprire un ufficio di corrispondenza in Afghanistan ben prima dell’intervento statunitense, hanno portato Al Jazeera ad emanciparsi completamente dai quadri interpretativi forniti dalle principali emittenti occidentali, con la possibilità di diffondere scelte tematiche e argomentative proprie anche attraverso un canale in inglese.

Paese che vai, media che trovi...
A cadere è il monopolio occidentale dell’informazione. Non sono più solo i broadcaster europei e statunitensi a dominare il mercato informativo, ma fanno capolino, e acquistano diritto di parola, anche emittenti espressione di voci che fino a pochi anni fa erano troppo flebili per farsi ascoltare, o che avevano come massima espressione solo forme di grossolana propaganda.
Non senza paradossi: in un mondo dove i divi di Hollywood sono icone che trascendono le culture, e il linguaggio della pubblicità corre incurante di confini, frontiere e passaporti, l’informazione rischia di diventare sempre più regionale, frammentaria, legata a interessi e idiosincrasie particolari, malgrado la sua potenziale diffusione su scala globale. Il tutto esasperato dalle caratteristiche proprie delle notizie al tempo del web,sospese tra il moltiplicarsi delle fonti e il diffondersi delle informazioni senza che ci sia necessariamente un severo professionista di guardia al cancello.

martedì 11 agosto 2009

Ancora domiciliari per Aung San Suu Kyi.


E così, si è risolto il processo ad Aung San Suu Kyi. Ancora arresti domiciliari, per lei: ne avrà per altri diciotto mesi. L'accusa era di violazione degli arresti domiciliari. Ma, per molti, è soltanto l'ennesimo tentativo di controllo del regime. La donna, infatti, avrebbe finito di scontare la sua pena lo scorso 21 maggio: la sua reclusione durava dal 1989.

John William Yetahaw, il cittadino americano mormone che lo scorso tre maggio aveva raggiunto a nuoto la dimora della leader dell'opposizione, è stato invece condannato a sette anni di lavori forzati.
L'uomo ha dichiarato che a spingerlo verso la residenza della donna era stata una visione che ne faceva, a suo dire, presagire un imminente assassinio.

San Suu Kyi è stata condannata a tre anni dal tribunale militare. Una pena commutata in un anno e mezzo di arresti domiciliari dal generale Than Shwe, capo della giunta militare attualmente al potere: un tempo sufficiente per escludere il capo della Lega Nazionale per la Democrazia dalle prossime elezioni, previste per il 2010.

giovedì 6 agosto 2009

Haiti: manifestanti chiedono un aumento del minimo salariale


Tutti davanti al Parlamento per chiedere un aumento del minimo salariale: ad Haiti la protesta si è trasformata rapidamente in scontro.
Circa 2000 manifestanti sono scesi in strada per far valere le loro ragioni: alcuni hanno tirato pietre agli agenti di polizia, che hanno risposto lanciando gas lacrimogeno per disperdere la folla.

Quello del minimo salariale è uno dei problemi più pressanti nella politica haitiana. Secondo i manifestanti, i due dollari fissati come reddito minimo non bastano a garantire uno stile di vita dignitoso.

Lo scorso maggio era stato approvata dal Parlamento una proposta di legge che prevedeva di triplicare il reddito minimo garantito. Ma la reazione contraria del presidente haitiano, Rene Preval, si è fatta sentire: "Gli operai delle fabbriche che producono vestiti dovrebbero ricevere un aumento che porti il minimo salariale a tre dollari, non di più."
Il presidente raccoglie le istanze di coloro che credono che una legge che obblighi a incrementare i salari possa rendere molto più diffficoltosa l'assunzione regolare degli operai.

Secondo un rapporto diramato dalle Nazioni Unite lo scorso gennaio, Haiti potrebbe creare milioni di nuovi posti di lavoro, specialmente nel tessile, approfittando delle esenzioni doganali che regolano gli scambi con gli Stati Uniti.
Oggi, però, su 9 milioni di haitiani, sono solo 250 mila ad avere un lavoro regolare: gli altri si dedicano all'attività nei campi, oppure alla vendita ambulante.

venerdì 31 luglio 2009

Verdetto rinviato per Aung San Suu Kyi


Rimandato all'11 o 12 agosto il verdetto del processo contro l'attivista birmana Aung San Suu Kyi, atteso per il 31 luglio. A rederlo noto, un responsabile birmano.

L'accusa per il premio Nobel per la pace è di violazione degli arresti domiciliari.
I giudici dichiarano di dover riesaminare il fascicolo, prima di poter procedere con la sentenza definitiva. Ad affermarlo, un diplomatico che ha assistito alla breve udienza di venerdì nel tribunale della prigione d'Insein.
La sicurezza era stata rafforzata intorno al carcere nel quale Aung San Suu Kyi è stata rinchiusa dal 14 maggio scorso.

La leader dell'opposizione birmana rischia fino a 5 anni di carcere: è colpevole di aver ospitato un mormone americano, che, in circostanze ancora da chiarire, era riuscito a raggiungere a nuoto la villa nella quale è costretta da anni a un duro regime di arresti domiciliari.

giovedì 30 luglio 2009

Piccoli Kamikaze crescono. Liberati in Pakistan bambini soldato.




Centinaia di ragazzini rapiti dai talebani e addestrati per diventare kamikaze. L'allarme lo lanciano le forze di sicurezza pakistane, dopo aver liberato un gruppo di bambini soldato nella North West Frontier Province.

Il corso per "aspiranti attentatori suicidi" comprendeva il lavaggio del cervello e un ferreo addestramento militare. Tuttavia, il tenente Nadeem Ahmed, a capo di un gruppo speciale al quale è stato affidato il compito di gestire il ritorno degli sfollati nella valle di Swat e nelle zone circostanti, dichiara che i bambini sembrano ben disponibili a tornare alla loro vita di sempre.

Si stima che i bambini rapiti siano tra i 300 e i 400, ma potrebbero essere molti di più: per questo le autorità fanno appello ai genitori, affinchè denuncino i casi di scomparsa da casa di cui siano a conoscenza.

I bambini liberati hanno un'età compresa tra i sei e i quindici anni: sono stati plagiati in nome dell'Islam,e si dichiarano pronti a sacrificarsi nella lotta contro gli infedeli. Sarebbero addirittura disposti a ordire attentati contro i loro genitori, nel caso questi tentino di ostacolare il progetto divino al quale credono di appartenere.

Gli sventati kamikaze in erba si trovano ora in centri di riabilitazione, in attesa di essere reinseriti in contesti familiari.
Anche le autorità religiose si dicono preoccupate dal fenomeno: quello dei rapimenti e dell'arruolamento dei bambini in gruppi dediti al fanatismo religioso è uno dei massimi problemi che il Pakistan deve affrontare.


Vuoi saperne di più sui bambini soldato? Leggi il post, o guarda la mappa.

Quando l'eredità pesa. Il caso degli ordigni inesplosi in Sudan


Sono passati quattro anni dagli accordi che hanno messo fine al conflitto tra il Nord e il Sud del Sudan, ma i ricordi della guerra sono ancora vivi e tangibili. Numerosi ordigni bellici, inesplosi, minacciano ancora il territorio.

La guerra, insomma, non smette di farsi sentire, non si allontana dalla memoria dei sudanesi. Seppure sia passato molto tempo dalla fine dei combattimenti, le vecchie armi continuano a far paura: munizioni, granate, mine, bombe, missili non ancora esplosi sono ben nascosti nel vecchio teatro del conflitto.

Spesso si trovano ben celati sotto terra, mettendo in grave pericolo la popolazione, specialmente i più piccoli, che non sanno che quegli oggetti di metallo luccicante sono pericolose armi, e che quello che sembra un innocuo gioco potrebbe costargli caro.

Ad aggravare la situazione, ci si mette anche la stagione delle piogge: le abbondanti precipitazioni fanno riafforare in superficie i pericolosi odigni.

Le organizzazioni umanitarie internazionali, oltre a fornire supporto medico ai sudanesi rimasti feriti negli sfortunati incontri con le armi inesplose, si preoccupano di sensibilizzare i governi occidentali sulla necessità di compiere operazioni di bonifica e sminamento del territorio.

Inoltre appaiono necessarie opere di sensibilizzazione rivolte alla popolazione civile, bambini in testa, affichè la guerra non si trasformi in un'ipoteca perenne sul loro futuro.

venerdì 29 maggio 2009

Napolitano per l' Africa



I valori di accoglienza e di solidarietà, sostenuti dalle leggi che regolano le democrazie, non possono essere minati dalla crisi economica. È il monito del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, intervenuto ieri al Quirinale in occasione della “Giornata per l’Africa”. Presenti alla manifestazione anche i ministri degli Esteri Frattini, e dell’Economia Tremonti.

Una nuova tratta degli schiavi: ecco come il presidente definisce i viaggi dei disperati che approdano sulle nostre coste. Esseri umani caduti nelle mani di criminali senza scrupoli:”Le gravi situazioni di crisi che ancora oggi si registrano in varie parti dell'Africa sono all'origine di emergenze umanitarie e drammatici fenomeni migratori che intaccano la dignità delle popolazioni più svantaggiate, costringendole a diventare vittime di reti criminali che approfittano della loro miseria e si arricchiscono alle loro spalle”,ricorda il Presidente.

È l’Europa che deve impegnarsi per aiutare l’Africa, continente ricco di potenzialità, ma allo stesso tempo così fragile. L’area dovrebbe, negli auspici di Napolitano, essere rivitalizzata dagli aiuti economici dell’Unione Europea: un’ integrazione dei due sistemi economici potrebbe portare a sbocchi redditizi le economie locali. Senza contare le sfide che il continente africano si troverà ad affrontare, e che necessitano dell’aiuto della vecchia Europa: approvvigionamento di fonti energetiche, cambiamenti climatici, salvaguardia dell’ambiente.

Staremo a vedere. La presidenza italiana del G8 ha infatti fissato in agenda un confronto con i paesi della Nepad: povertà, salute, sicurezza alimentare sono tra i temi che verranno trattati.

Napolitano speaks for Africa.

The values of hospitality and solidarity, backed by laws that govern democracies, cannot be undermined by the economic crisis. It is the admonition of the President of the Republic Giorgio Napolitano, who spoke yesterday at the Quirinal Palace on the occasion of “Day for Africa”. At the event were present even the Foreign Minister Frattini and the Minister for Economic Tremonti.

A new slave trade: this is how the president defines the travel of desperate people calling on our shores. Human beings who fell into the hands of unscrupulous criminals: “The serious crisis that still occur in various parts of Africa are the origin of humanitarian emergencies and dramatic migration that affect the dignity of the most disadvantaged people, forced them to become victims of criminal networks that exploit their poverty and become rich on their backs”, recalls the President.

It is Europe that must be committed to help Africa, a continent rich in potential, but at the same time so fragile. The area should, in the hopes of Napolitano, be revived by the economic assistance of the European Union: an integration of the two economic systems could lead to profitable opportunities local economies. Not to mention the challenges the African continent will face, and who need the help of old Europe: the supply of energy, climate change and environmental protection.

We shall see. The Italian Presidency of the G8 has set an agenda in comparison with the countries of the NEPAD: poverty, health, food security are among the topics to be discussed.

giovedì 14 maggio 2009

Voci dal Madagascar: intervista a Jean François Ratsimbasafy



Il 17 marzo 2009, il Madagascar è stato teatro dell'ennesimo colpo di stato. Dopo un lungo assedio condotto dai militari al suo palazzo, il presidente Marc Ravalomanana è stato costretto alle dimissioni e alla fuga, mentre il potere è passato a Andry Rajoelina, sindaco della capitale Antananarivo. Molte organizzazioni internazionali, fra cui l'Unione Europea, l'Unione Africana e l'ONU hanno immediatamente condannato il golpe militare.

Per chiarire alcuni aspetti di questa vicenda abbiamo ascoltato un testimone diretto, Jean François Ratsimbasafy, coordinatore per i progetti di cooperazione e sviluppo dell'associazione MAIS Onlus. Jean François ha assistito in prima persona al colpo di stato....ma possiamo parlare davvero di colpo di stato?



Cosa è successo in quei giorni intorno e all'interno del palazzo presidenziale? E com'è la situazione oggi?



Quali sono i progetti dell'associzione MAIS Onlus? Qual'è il vostro lavoro oggi in Madagascar?

domenica 26 aprile 2009

Civili iracheni: chi li ha visti?

Hillary Clinton, segretario di Stato statunitense, è giunta il 25 aprile a Baghdad. Visita a sorpresa ai militari statunitensi, in seguito agli attentati (150 morti in due giorni), che hanno funestato il già precario equilibrio iracheno. La Clinton ha escluso il ritorno a conflitti interconfessionali all’interno del paese, nonostante gli ultimi, recenti, attentati suicidi. Intanto, a Washington, si prepara il ritiro delle truppe dall’Iraq entro la fine del 2011.

Il conflitto iracheno è stato uno degli eventi mediatici per eccellenza degli ultimi anni. Abbiamo visto di tutto: la conferenza stampa dell’allora presidente Bush che annunciava l’entrata in guerra, l’arrivo dei militari a Baghdad, qualche spettacolare bombardamento notturno. E poi abbiamo visto la statua di Saddam cadere giù, tra il clamore della piazza.

Quelli dimenticati dai telegiornali sono loro, i civili iracheni. Raccontare la vita delle persone, sentire le loro voci, dare spazio alle loro storie, riuscire a raggiungerle con le telecamere è difficile in ogni conflitto. E, nel caso dell’Iraq, non solo i giornalisti hanno avuto vita dura. Medici senza Frontiere denuncia la complessità dell’azione umanitaria sul territorio.

Dal 2003, anno d’inizio del conflitto, diverse organizzazioni umanitarie indipendenti hanno arrancato per guadagnare terreno ed estendere il loro raggio d’azione sul territorio iracheno. Ma la loro azione è stata, ed è ancora, altamente compromessa. Molti attori politici e militari, infatti, hanno tentato di utilizzare per i loro scopi l’azione umanitaria internazionale: associazioni e volontari sono stati oggetto di sanguinosi attacchi, che hanno impedito loro di agire per fornire alla disastrata popolazione irachena tutto l’aiuto del quale si aveva bisogno.

Anche un’organizzazione ben piazzata, e fortemente professionalizzata come Medici Senza Frontiere, è stata costretta, nel 2004, a ritirare i suoi operatori, al fine di garantire la loro incolumità. Solo dal 2008 ha potuto intraprendere nuovi, urgenti e necessari interventi umanitari.

La guerra in Iraq ha provocato lo sfollamento di quattro milioni di persone. Due milioni, secondo l’alto Commissariato dei Rifugiati Onu, e il Centro di Monitoraggio sullo Sfollamento Interno del Consiglio Norvegese per i Rifugiati sono gli iracheni che sono bloccati nel paese.

La sicurezza, negli ultimi mesi, è leggermente migliorata e anche la situazione politica sembra viaggiare verso un difficile e agognato tentativo di stabilità. Ma come dimostrano anche le cronache di questi ultimi giorni, molti vivono ancora sotto lo spettro della violenza. Gli attentati e gli scontri fra fazioni lasciano dietro di loro una striscia di sangue: morti e lesioni che hanno bisogno d’interventi medici tempestivi e cure immediate. Nonostante il governo iracheno abbia fatto del suo meglio per migliorare i servizi sanitari, sono migliaia gli iracheni che ricevono scarsa, o nessuna assistenza sanitaria.

Questa situazione è il frutto di anni di abbandono dei servizi sanitari: le cure di base latitano, così come i medici, molti dei quali hanno lasciato il paese per il timore di uccisioni e rapimenti.
Molte sono le associazioni umanitarie che, negli ultimi anni stanno affrontando il problema iracheno. Chissà se i civili riusciranno a guadagnare, più che un posto nei telegiornali, quella stabilità che potrà garantire loro una corretta transizione verso la democrazia.



Visualizza Medici Senza Frontiere sul territorio iracheno in una mappa di dimensioni maggiori
Who has seen Iraqi civilians?


Hillary Clinton, Secretary of State, arrived April 25 in Baghdad. A surprise visit to the U.S. military, following the bombings (150 dead in two days), which have ravaged the already precarious balance of Iraq. The Clinton administration has ruled out a return to interfaith conflicts within the country, despite the recent suicide bombings. Meanwhile, Washington is preparing for the withdrawal of troops from Iraq by the end of 2011.


The Iraqi conflict has been one of excellence for media events of recent years. We saw everything: the press conference of the President Bush announcing the entry into the war, the arrival of the military in Baghdad, a spectacular night bombing. And then we saw the statue of Saddam falling down, from the clamor of the square.


Those broadcasts are forgotten by is them, the Iraqi civilians. Telling the life of the people, hear their voices, to give space to their stories, to reach them with the cameras is difficult in any conflict. And, in case of Iraq, not just the journalists have had it hard. Medicines Sans Frontierès condemns the complexities of humanitarian action on the ground.


Since 2003, the year of commencement of the conflict, several independent organizations have worked hard to gain ground and extend their range of action on Iraqi territory. But their action was, and still is, highly compromised. Many political and military actors, in fact, have tried to use for their purposes the international humanitarian associations and volunteers have been bloody attacked, which prevented them from acting to provide the affected people of Iraq all the assistance which is needed.


Even a well-placed, and highly professional organization as Medicines Sans Frontierès, was forced in 2004 to withdraw its workers to ensure their safety. Only in 2008 was able to undertake new, urgent and necessary humanitarian intervention.


The war in Iraq has caused the displacement of four million people. Two million, according to top UN High Commissioner for Refugees, and the Center for Monitoring of IDPs in the Norwegian Council for Refugees, is the Iraqis who are stuck in the country.


Security in recent months is slightly improved, and also the political situation seems to travel across a difficult way for stability. But as demonstrated by the news of recent days, many still live under the specter of violence. The attacks and clashes between factions leaving behind them a strip of blood: deaths and injured in need of timely medical intervention and immediate care. Despite the Iraqi government has done its best to improve health services, there are thousands of Iraqis who receive little or no health care.


This situation is the result of years of neglect of health services: the basic health care for inaction, as well as doctors, many of whom have left the country for fear of killings and kidnappings.


There are many humanitarian organizations that in recent years are facing the problem of Iraq. Who knows whether civilians will be able to earn more than a place in television news, the stability that will ensure them a smooth transition to democracy.


martedì 21 aprile 2009

Emergenza colera nello Zimbabwe

non si placa la morsa dell'epidemia che dall'agosto scorso sta decimando la popolazione dello Zimbabwe. Un resoconto video da AlJazeeraEnglish :




ulteriori approfondimenti su wikinotizie: Zimbabwe, dilaga l'epidemia di colera: oltre 91mila le persone infettate.

venerdì 17 aprile 2009

Intermezzo musicale: popstar per l'Africa

Era il lontano 1984 quando un manipolo di musicisti britannici,guidati da Bob Geldof, decise di riunirsi per incidere un brano. L'intento era nobile: con il ricavato si sarebbero raccolti fondi per combattere la carestia che stava affliggendo l'Etiopia. Vide così la luce il singolone natalizio "Do you know it's Christmas time", dal progetto Band Aid. Il brano raggiunse la vetta della classifica britannica, e permise di racimolare oltre 70.000 di sterline.

Un anno dopo, armati degli stessi buoni propositi, quei musicisti si ritrovarono per formare la line up del Live Aid, concerto benefico tenutosi in contemporanea al Wembley Stadium di Londra e al JFK Stadium di Philadelphia. L'evento, trasmesso in diretta dalla Bbc, vide alternarsi sui due palchi numerosi artisti: Style Council, Elvis Costello, Sting, Madonna, i Queen, gli Who, Phil Collins, i Led Zeppelin, Bob Dylan e moltri altri. Alcune esibizioni furono memorabili: David Bowie,





e gli U2, che confermarono il loro talento di live band.



Furono proprio loro, ad aprire, venti anni dopo, il Live 8.

Il concerto, programmato in concomitanza con il G8 di Perthshire, in Scozia, nasceva con il proposito di raccogliere fondi per il progetto britannico Make Poverty History. La manifestazione, sempre in mano a Bob Geldof, voleva far pressione sui leader politici delle nazioni più ricche. Cancellare il debito, incrementare gli aiuti verso le nazioni più povere e negoziare regole più eque per il commercio, gli obiettivi declamati.


L’organizzazione dell’evento, come al solito, imponente: così, per il 2 luglio 2005, dieci palchi in dieci città differenti erano pronti per essere calcati da più di mille artisti. I concerti, in diretta e mondovisione, sono stati trasmessi da 182 emittenti televisive, e da più di 2000 stazioni radiofoniche.

Visualizza Live 8 in una mappa di dimensioni maggiori


Nonostante le critiche (il concerto come grande passerella?) e le immancabili polemiche - su tutti Damon Albarn, leader dei Blur, che ha denunciato l’assenza di musicisti africani-, il concerto ha permesso di raccogliere fondi, di sensibilizzare il grande pubblico... e perché no, ha regalato momenti di spettacolo, come la suggestiva esibizione dei Coldplay,






e l'attesissima reunion dei Pink Floyd.






Popstars for Africa


It was the far 1984, when some British musician, leaded by Bob Geldof, decided to record a song. The intent was noble: they wanted to raise funds, with the aim to fight starvation in Ethiopia. So, they decided to call themselves Band Aid, and they made the single “Do they know it’s Christmas time”. The song reached the top of the British chart, and allowed to earn more than £ 70.00.


An year after, provided with the same good intentions, they organized the Live Aid, a charity concert, that took place in London, at the Wembley Stadium, and in Philadelphia, at the JFK Stadium. The event, broadcasted by the BBC, saw a lot of artists on stage: Style Council, Elvis Costello, Sting, Madonna, The Who, Phil Collins, Led Zeppelin, Bob Dylan, and many more. Some exhibitions were memorable:
David Bowie, and U2, that confirmed their talent as a live band.


And U2, twenty years after,opened the Live 8.
The concert, planned on the same day of the Perthshire’s G8, in Scotland, had the intention of raise funds for the British project Make Poverty History. The event, organized by Bob Geldolf, wanted to put pressure on the political leaders of the richest nations. The aims of the concert were: cancel the dept, increase helps towards poor nations, and negotiate fair trade rules.



The event organization, as usual, was impressive: so, on the 2nd July 2005, ten stages, in ten different cities were ready to be trodden by more than 1000 artists. The live concerts were broadcasted all over the world by 182 television channels and 2000 radio station.


Despite the critics (the concert as an huge catwalk?) and the inevitable controversies – such as the Damon Albarn’s one on the absence of African musician- the concert has allowed to raise funds,and it madethe audience more aware about poverty, and..why not? It has given spectacular moments, such as the picturesque Coldplay exhibition, Madonna and her court of dancers, and the Pink Floyd reunion.

mercoledì 15 aprile 2009

L'uso dei bambini soldato nel mondo


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venerdì 10 aprile 2009

L'infazia rubata: il dramma dei bambini soldato




300.000 bambini soldato in tutto il mondo (ma è solo una stima per difetto pubblicata dalle Nazioni Unite, secondo molti esperti il numero reale si aggirerebbe intorno ai 500.000).
120.000 sono le bambine soldato che, oltre a combattere, sono usate come schiave sessuali nonostante la loro giovanissima età.
100.000 bambini soldato solo in Africa ma il fenomeno è trasversale e tocca anche zone come il Sud America, il Sud Est Asiatico e il Medio Oriente.
30 i conflitti sparsi per il globo in cui l’utilizzo dei bambini soldato è diventata una triste consuetudine.

Questi sono solo alcuni dei dati e delle cifre emersi nell’incontro con Giuseppe Carrisi, giornalista RAI, invitato dalla Facoltà di Scienze della Comunicazione alla proiezione del documentario “Kidogo – un bambino soldato”. Presentato in anteprima mondiale al Giffoni Film Festival dello scorso anno, il documentario ricostruisce la vera storia di John Baptist Onama, un bambino soldato nell’Uganda degli anni ottanta dilaniata dalla guerra civile. La sua storia personale si intreccia con le testimonianze di altri bambini e bambine che, ancora oggi, vivono lo stesso dramma in diversi paesi del continente africano. Il racconto prosegue analizzando le cause e i motivi che sono alla base di questo fenomeno. Già le cause …

Perché esistono i bambini soldato?

La storia ci insegna che, negli ultimi 20 anni, il modo di fare la guerra in Africa è radicalmente cambiato. Sono quasi del tutto spariti i conflitti fra stati e si è assistito ad una crescente proliferazione di guerre “intra statali” che hanno come teatro le numerose nazioni fallite: entità statali al collasso, incapaci di mantenere il controllo sul proprio territorio. Questo tipo di conflitti, che molto spesso vengono presentati dai media come piccoli scontri etnici o religiosi, hanno la caratteristica di durare per decine di anni e di essere alimentati da multinazionali e paesi occidentali. Il motivo è facilmente intuibile: il caos sociale favorisce lo sfruttamento indiscriminato delle risorse strategiche di cui l’Africa è ricca. In contesti come questi, quindi, entrambi le parti (governativi e ribelli) hanno bisogno di un costante ricambio di uomini … anche quando questi non sono ancora uomini! Un altro fattore che ha portato la crescita del fenomeno dei bambini soldato è la proliferazione indiscriminata di armi leggere sui campi di battaglia di tutto il mondo. Si stima che ci siano in circolazione 650 milioni di armi leggere (pistole, fucili d’assalto, lanciagranate) di cui 130 milioni solo in Africa Subsahariana. Le armi leggere hanno due caratteristiche fondamentali: sono molto economiche e sono di così facile utilizzo e manutenzione che anche un bambino è in grado di maneggiarla facilmente . Basta solo insegnarli a premere il grilletto …

Reclutamento e Addestramento

I bambini, dai 4 anni in su, sono più economici e facilmente addestrabili degli adulti. Solo una minima parte di loro si arruola volontariamente (per povertà o solo per avere una chance di sopravivenza in più rispetto a chi non imbraccia un fucile), la maggior parte viene rapita dalle proprie famiglie durante dei raid compiuti nei villaggi da miliziani armati. Portati nel “bush” africano, vengono privati del cibo e imprigionati in vere e proprie gabbie per incattivirli. Quelli che riescono a superare questa prima “selezione” sono destinati all’addestramento militare vero e proprio. I bambini imparano quindi a smontare, rimontare e ad azionare le armi da fuoco, a maneggiare il machete e vengono infine sottoposti al “battesimo del fuoco”: trasportati nei villaggi di origine sono costretti ad uccidere amici e parenti in modo da spezzare ogni legame affettivo rimasto. All’inizio, per molti, sembra un gioco ma con il passare del tempo le continue violenze e atrocità iniziano a logorare le loro giovani menti. Per evitare quindi che sfuggano al controllo molto spesso i comandanti drogano i bambini utilizzando marijuana o la polvere da sparo che ha l’effetto di un allucinogeno e da l’impressione di essere immuni al freddo, alla fame e alle pallottole nemiche.

“Essere bambini in queste realtà significa essere bambini soldato. Non ci sono alternative” – John Baptist Onama
Continua …


Childhood stolen: the tragedy of the child soldiers


Child soldiers in the world are 300.000 (but is only a minimum assessment published by the United Nations: according to many experts the real number is estimated around 500.000).
120.000 are the girls soldier. In addition to combat, they are used as sex slaves despite their young age.
Only in Africa there are 100.000 child soldiers, but there are many other areas of the world involved; such as South America, South East Asia and the Middle East.
In 30 conflicts around the globe the use of child soldiers has become a routine.

These are just some data emerged during the meeting with Giuseppe Carrisi, RAI journalist, invited by the Faculty of Sciences of Communication to the viewing of the documentary "Kidogo - a child soldier”. Presented in world premiere at the Giffoni Film Festival last year, the documentary reenact the true story of John Baptist Onama, child soldier in 1980’s Uganda civil war.
His personal history is intertwined with the testimony of other children and girls that, still today, living the same drama in different countries of the African continent. The story continues analysing causes and reasons of this phenomenon. The causes, right…

Why child soldiers exists?

History teaches that, in the last 20 years, the way to make war in Africa radically changed. The conflicts between states are almost completely disappeared, in view of increasing proliferation of wars "intra state". These conflicts emerge in the “failed nations”: to be more precise, it happens in collapsing States , that are unable to maintain control over its territory. These conflicts, which are often presented by media as less important ethnic or religious clashes, persists for decades and receives funds by multinationals and western countries. And it’s simple to imagine the reason why: social chaos support the exploitation of strategic raw material, the richness of Africa. In this situation, therefore, Govern and rebels need a constant replacement of men … even when they aren't men yet! Another factor that has led the growth of the phenomenon of child soldiers is the proliferation of light weapons in every battlefield of the world. It ‘s estimated that all over the world there are 650 million small weapons (guns, rifles, grenade launchers), in wich 130 million are only in sub-Saharan Africa. Small weapons have two fundamental characteristics: the cheapness and the easiness to use. Even a child could handle one easily. You only need to teach them how to press the trigger...

Conscription and military training.

Children from 4 years are cheaper and more drillable than adults. Only few of them decide to enlist voluntarily (for poverty or just to have one more chance to survive compared to ones who doesn’t choose to combat). Most of them are kidnapped by armed militia from their families, during raids in villages. Then, thay are taken to the African "bush" , deprived of food and imprisoned. The ones who pass this first selection are destined to the real drill. Kids learn how to use weapons and machete. Then, they are finally subjected to the "baptism of fire": transported in the villages in which they were born they are forced to kill friends and relatives in order to break each bond remained. At the beginning, for many of them it seems a game; but with the passage of time, violence and atrocities begin to knacker out their young minds. To avoid the possibility that someone could run away, leaders force young soldiers to take drugs like marijuana or gunpowder (which has an hallucinogenic effect). They feel as if they’re let off cold, hunger and the enemy’s fire.

"Be children in these reality means to be child soldiers. There aren’t alternatives "– John Baptist Onama.

mercoledì 8 aprile 2009

Madagascar: un lento cammino verso la stabilità politica.


Madagascar. un'isola dalla superficie più grande della Francia, limitata da una parte dallo stretto di Mozambico, dall’altra dall’Oceano Indiano. Colonia francese fino agli anni '60, l'isola ha vissuto, fin dai primi anni dell'indipendenza, alterne fortune politiche ed economiche. Con una sola certezza: l'instabilità.

Negli anni '70 un colpo di stato trasforma le istituzioni dell'isola in chiave socialista, sostituendo la Costituzione precedente con la Carta della Rivoluzione socialista.Il Paese viene rinominato Repubblica Democratica del Madagascar, e la sua politica diventa filo-sovietica. Viene riconosciuto legalmente un solo partito e viene limitata di molto la libertà di stampa; vengono nazionalizzate le banche e le risorse minerarie dell'isola.

Nel '92 viene redatta e approvata una nuova costituzione, mentre un anno dopo saranno indette le prime libere elezioni, con più partiti; ma -come negli anni successivi- non mancarono contestazioni e accuse di broglio, visto che il potere venne comunque suddiviso tra i leader storici dei due maggiori partiti, senza una vera e propria alternanza democratica.

L'economia, legata ad un contesto di neo-colonialismo, ha aumentato il suo declino già dal 1982, costringendo le autorità ad adottare un programma di ripresa del Fondo Monetario internazionale.

La Banca Mondiale stima che quasi il 70 % della popolazione malgascia sopravvive con meno di un dollaro al giorno.Povertà e uso indiscriminato delle risorse agricole mettono seriamente a rischio le foreste del Madagascar, in cui vive il 5% della fauna della vegetazione del mondo, di cui ben l'80% si può trovare solo sull'isola.

La mancanza di una forte coesione sociale, l’instabile politica ed economica, fanno sì che il Madagascar si trovi tutt’ora in una grave crisi; preda di criticati investimenti economici da parte di multinazionali e Paesi stranieri.

Intanto, la popolazione si trova sotto scacco: le terre trovano acquirenti all'estero grazie alla mediazione del potere politico, senza differenze di schieramenti; con buona pace dell'economia nazionale. E dell'aumento incontrollato della povertà, complice siccità e carenza di strutture adeguate per l'agricoltura, sufficiente ad ogni modo per il solo sostentamento.

In questo quadro, i recenti scontri politici tra l'ormai ex presidente Marc Ravalomanana e l'ex sindaco di Antananarivo Andry Rajoelina ora al potere hanno contributo a rendere la situazione ancora più critica.

Ai microfoni di Radio Meridiano 12, il coordinatore dei progetti di cooperazione allo sviluppo dell'associazione MAIS onlus Jean François Ratzimbasafy. Lo psicologo è attivo sul territorio e ha fornito un breve resoconto della situazione politica nel periodo appena precedente la caduta di Ravalomanana.




L'associazione è attiva in Madagascar con diversi progetti di cooperazione allo sviluppo. Ratzimbasafy ne descrive modalità di gestione e intenti.





Madagascar. A long path to political stability.


Madagascar. An island largest than France, limited at one side by the strait of Mozambique, on the other from Indian ocean. French colony until 1960, the island had, from the first years of independence, varied political and economic fortunes. With just one certainty: the instability.


In 70’s, a coup transforms the institutions in a socialist way, replacing the previous Constitution with the Paper of Socialist Revolution. The country was renamed “Democratic Republic of Madagascar”, and its policy becomes close to Soviet’s. Just one party was recognized by law, and press freedom was strictly limited. Banks and raw material’s mines were nationalised.

In 1992 was written and approved a new constitution, and the following year there was the call of the first free elections, with many parties; but, as in following years, there were contestations and accusations of gerrymandering, because the power was still divided between the leaders of the two main historical parties, without a genuine democratic alternation.


Economy, linked to a context of neo-colonialism, has increased its decline since 1982, forcing the authorities to adopt a program for recovery prepared by the International Monetary Fund.

World Bank estimates that almost 70% of the Malagasy population survives with less than a dollar per day. Poverty and the indiscriminate use of agricultural resources seriously threaten the forests of Madagascar, in which live the 5% of the fauna and vegetation of the world. Up to 80% lives only on the island.

The lack of a strong social cohesion, added to political and economic instability has led Madagascar to a serious crisis; prey of questioned economic investment by multinational companies and foreign countries.

In the meantime, population has to manage many different problems: lands are sold abroad through the mediation of political power, no matter the alignment; of course with rebounds on national economy. In the meanwhile, poverty increases without control, due to drought and to the lack of adequate structures for agriculture, which is, by the way, enough just for survival.

In this situation, recent clashes between the ex-president Marc Ravalomanana and the former Mayor of Antananarivo Andry Rajoelina, who’s got now the power, helped the situation to become even more critical.

Radio Meridiano 12, an Italian FM station, has interviewed Jean François Ratzimbasafy, the coordinator of Association MAIS Onlus’ cooperation projects for development in Madagascar. The Psychologist is active in the territory and provided a brief report on political situation in the period just before the fall of Ravalomanana.


[audio in Italian]


The Association is active in Madagascar with various cooperation projects. Ratzimbasafy describes methods of management and intent.


[audio in Italian]

domenica 5 aprile 2009

Malnutrizione infantile, l'allarme silenzioso


Il 2008 è stato l'anno delle sommosse per il cibo. L'aumento dei prezzi delle derrate alimentari ha causato l'agitazione di centinaia di persone ad Haiti, in Bangladesh, in Costa d'Avorio, proteste rumorose che hanno trovato spazio nei telegiornali della sera.

Meno visibile,ma ugualmente letale, è stato l'aumento della malnutrizione infantile.

Se combattere la fame significa garantire cibo a sufficienza, per sconfiggere la malnutrizione c'è bisogno di fornire alimenti ricchi di nutrienti, vitamine e minerali.

La malnutrizione, infatti, non va confusa con la scarsità di cibo;a determinarla concorrono diversi fattori: insufficienza di proteine, zuccheri e micronutrienti, malattie e infezioni contratte con frequenza. E ancora, una cattiva educazione alimentare,il consumo di acqua non potabile, pochi controlli medici e mancanza di igiene.

Secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità, sono 178 milioni i bambini che, in tutto il mondo, sono affetti da malnutrizione: 20 milioni sono colpiti dalla forma più acuta, e sono circa 5 milioni i bambini al di sotto dei cinque anni che ogni anno muoiono a causa di un'alimentazione non adeguata.Anche l'Unicef lancia l'allarme: la situazione peggiora sempre di più.

Nei "punti caldi",come Corno d'Africa, Sahel e Asia meridionale, molte famiglie non possono permettersi il lusso di alimenti nutrienti, come latte, carne e uova, necessari ai bambini per crescere sani. I loro pasti si basano su pappe di cereali a base di mais e riso:il nostro "pane ed acqua".

Gli aiuti internazionali non fanno abbastanza. Le miscele di farine arricchite di mais, grano e soya,che vengono distribuite dai programmi umanitari, non soddisfano le esigenze nutrizionali minime dei bambini tra i 6 e 24 mesi, più vulnerabili.

Le organizzazioni umanitarie stanno lavorando affinchè le agenzie internazionali inseriscano tra gli aiuti prodotti come gli alimenti terapeutici pronti all'uso,in grado di guarire, anche dopo brevi cicli di somministrazione, le forme di malnutrizione più gravi.

E' importante combattere la malnutrizione: il sistema immunitario dei bambini che ne sono affetti è così fragile che basta una semplice malattia per causare gravi complicazioni e addirittura la morte.


Infantile malnutrition: the silent alarm


2008 will be remembered as the year of the food riots. The price increase of the food supplies has caused the rising of hundreds of people in Haiti,Bangladesh,Ivory Coast:with their loud protests, they have found a place in the evening news.

The increase of the infantile malnutrition has been less visible,but it is equally lethal. Starvation can be fought by providing food; to fight aganist malnutrition it is even necessary to provide food that is rich of vitamins and minerals.

Malnutrition, in fact, is not only a lack of food;instead, it is caused by the combination of many differents factors: lack of proteins, sugar and micronutrients, illness and infections that are frequently contracted.Even incorrect dietary habits, undrinkable water, few medical checks, and bad igenical conditions are causes of malnutrition.

According to the World Health Organization about 178 millions of children, all over the world, are affected by malnutrition: 20 millions are struck by the most acute form, and about 5 millions children under 5 years die every year because of a not proper diet.Unicef declares that the situation is getting worse and worse: in the "hot places", such as Africa, Sahel and South Asia, lots of family cannot afford to get nourishing foodstuffs, that are necessary to the children's health.Their meals are based on cereals, maize and rice: they are similar to our "bread and water".

International helps aren't enough. The flours enriched with maize, corn and soya,that are usually given by humanitarian programs, can't satisfy nutritional needs of the children among 6 and 24 months, that are the most vulnerable.

Humanitarian Organizations are working: they want the internation agency to add among helps products such as the therapeutical food ready to use. It can cure the worst form of malnutrition, even after a short administration.

It is important to fight malnutrition, the immune defance system of the affected children is very weak: a simple desease can cause serious consequences, and even death.

giovedì 2 aprile 2009

Crisi dimenticate: cronaca di una “memoria corta” tutta italiana

seppellite dall’impietosa legge della notiziabilità: troppo lontane, troppo complesse, troppo “scomode”, forse. Così, dentro i confini di casa nostra c’è sempre qualcosa che viene prima, sia una nota politica, sia il delitto del giorno, sia l’andamento del mercato mondiale, piuttosto che i risultati delle partite di calcio. Fin qui, niente da dire: tutto più che degno di far parte della scaletta quotidiana dei tg, della scelta dei giornali. Ci si chiede però se, nel mare magnum della comunicazione in cui siamo immersi, non si possa trovare spazio per portare all’attenzione dell’opinione pubblica qualcosa di diverso.

E se già nel 2006 le crisi umanitarie mondiali occupavano il 10% del totale delle notizie mandate in onda, nel 2008 la copertura è diminuita ancora, attestandosi sul 6% del totale. A denunciarlo è Medici Senza Frontiere e l’Osservatorio di Pavia nel loro rapporto annuale sulle crisi dimenticate. Il monitoraggio si riferisce in particolare all’informazione di Rai e Mediaset, nelle edizioni del mattino, di mezza giornata e nel prime time. Su un totale di 81.360 notizie, solo 4901 riguardano le crisi più gravi del pianeta.

Di qui il paradosso: in un mondo in cui il pensiero e le azioni sono sempre più globalizzate, è ancora possibile riservare così poco spazio a ciò che succede al di fuori dei confini “occidentali”? Spesso, poi, non c’è nemmeno bisogno di uscirne. L’HIV e la TBC sono una piaga che non conosce confini, tanto per citarne una fra le tante.

Questo blog nasce da questo. Dall’allarme di Medici Senza Frontiere, dalla voglia di indagare, di conoscere quanto di grave succede nel mondo e rimane al di là del cancello dell’informazione. Forse con un pizzico di ambizione: sfatare il mito che la lontananza geografica ne dimezzi automaticamente l’interesse pubblico. Di migranti, solo in Italia, ne arrivano a centinaia: quando si decide di lasciare il proprio paese, lo si fa per un buon motivo. Con l’integrazione, poi, ci si fa i conti qui, a un passo da casa.

Aspettiamo commenti, spunti, critiche: mano alle tastiere!


Forgotten crises: a “short memory” made in italy

Buried by the strict law of gatekeeping: too far, too complex, too "uncomfortable", perhaps. Thus, within the boundaries of our country there’s always something that comes first, would it be something about politics, or the crime of the day; maybe is the evolution of the world market, rather than the results of football matches. And in fact, there’s nothing wrong: is all more than worthy of being part of the news agenda. The question is, hovewer, to decide if it’s possible to find a place in that agenda where crisis can emerge. And in this mare magnum of communication we are drown in, the answer need to be: of course.

In 2006, humanitarian worldwide crises occupied the 10% of the total of the news. In 2008 the coverage has already decreased: only the 6% of the total. These are the results of the annual report on forgotten crisis draft by Medecins Sans Frontierès and the Observatory of Pavia. The monitoring refers, in particular, to Rai and Mediaset, in the news editions of the morning, half day and in prime time. On a total of 81,360 News, only 4901 concern the most serious crisis of the planet.

And here’s the paradox: in a world in which thoughts and actions are getting more and more global, is still possible to reserve that tiny space to what happens outside the borders of the West? Often, moreover, there’s no need to cross the borderline. HIV and TBC are curses with no boundaries, just to mention the most known.

This blog comes from this remarks. From the warning of Medecins Sans Frontierès, from the desire to investigate, to know all the serious things that happens in the world and remains beyond the gate of information. Perhaps, with a pinch of ambition: explode the theory that geographic distance automatically brings the public interest down. Only in Italy almost every day hundreds of immigrants tries to get our coast. And when someone decide to leave his country, for sure has a leg to stand on. And we need to face integration here, just a step from our home.

We’re waiting for comments, advices, critics: stay tuned, the conversation has just begun…