sabato 12 settembre 2009

Reporter con la matita


Fumetti che raccontano storie di un altro mondo. Storie di guerre, di pace, drammatiche, romantiche, che strappano sorrisi. Da Bashir a Persepolis, tante sono le narrazioni che passano dalla carta al cinema, che trasformano un fumetto in graphic journalism. Un reportage pop, per raccontare la propria terra e la sua storia a chi non la conosce: c’è chi lo chiama fumetto di realtà, ed è una nuova tendenza per accendere i riflettori su luoghi e vicende spesso lontane dalla copertura mediale.

Come la storia di Aya de Yopougon, graphic novel già indicata come la Persepolis africana, che sbarcherà nelle sale cinematografiche nel 2011. Le avventure dell’adolescente ivoriana hanno già conquistato il premio Révélation al Festival internazionale dei fumetti di Angouleme, in Francia, e stanno per essere pubblicate anche in Italia per Rizzoli Lizard.

L’autrice di Aya, Marguerite Abouet, si trasferì in Francia nel 1983 all’età di 12 anni, ed ora è assistente in uno studio legale, con molte storie di integrazione e pregiudizi da raccontare. “Quando sono arrivata ai compagni del ginnasio dicevo che in Africa cacciavo i leoni con mio padre, e loro ovviamente ci credevano” Aya, saggia e bella, tenta di spazzare via tutti gli stereotipi che l’Africa trascina con sé agli occhi degli occidentali: insieme alle sue amiche, è alle prese con papà gelosi, matrimoni combinati, corteggiamenti maldestri di ragazzi ivoriani.

Grazie ai disegni di Clement Ouberie, Marguerite ci ha raccontato il suo villaggio, Youpougon: è un Africa lieta e leggera, che stride con l’immagine di un continente che molto spesso è visto solo come Aids, guerre e fame. Un modo intelligente per dimostrare che i media sono in grado di raccontare, con codici anche legati all’intrattenimento, storie dimenticate. *l’intervista è tratta dal Magazine del Corriere della Sera del 26/03/09

Reporters with pencils

Comics that tell us stories from a other world. Stories about war, peace, dramatic, poetical, that make us laugh. From Bashir to Persepolis, there are a lot of stories that move from paper to movie screen, that can change a comic into graphic journalism. A pop reportage to tell a country and his history to those who doesn’t know it: someone call it reality comic. Thank to this new trend, writers can put on the spotlight on places and facts that are often far from the media coverage.

As the story of Aya de Yopougon, a graphic novel that someone considers as the African Persepolis. It will become a movie in 2011. The adventures of the young Ivorian girl have already gained an award at the International Comics Festival of Angouleme, in France. The book is going to be published even in Italy, by Rizzoli Lizard.

The author of the novel, Marguerite Abouet, moved to France in 1983, when she was 12. Now she works as assistant in a law office, and she has a lot of tales about integration and prejudice to tell: “ I told to my classmates that, when I lived in Africa, I used to haunt lions with my father. They obviously believed in it.”

Aya, beautiful and wise, tries to delete all the stereotypes that Africa brings whit her: along with her friends, she fights with jealous dads, combined marriages and the gauche courtships of Ivorian guys.

With the pictures of Clement Ouberie, Marguerite has painted us her village, Youpougon: it is an Africa glad and mild, that collides with the image of a continent often seen as Aids, war and starvation. An intelligent way to prove that medias are able to narrate, even in entertaining ways, forgotten stories.

lunedì 31 agosto 2009

Se la Cina parla arabo...


Un nuovo canale.
La Cina è pronta ad inaugurare il suo primo canale satellitare in arabo. Dopo le trasmissioni in inglese, francese e spagnolo, la Cctv, la televisione di stato cinese, si prepara a sbarcare in Nord Africa e Medio Oriente. Intrattenimento, news e programmi educativi saranno diretti ad un bacino di circa 300 milioni di persone in 22 paesi.

Grandi progetti.
Gli obiettivi sono ambiziosi. Altrimenti non si spiegherebbero i cinque miliardi di euro investiti nel progetto. Perché non si parla solo di informazione, ma di quanto sia labile il confine tra questa e la propaganda. È ben noto anche a Pechino, infatti, come i media siano sottili diffusori di idee, ideologie, modelli di comportamento. E a Pechino sanno bene anche quanto questi siano importanti, se si aspira ad acquistare importanza nello scacchiere mondiale: sul soft power, quell’ insieme di cultura, ideali condivisi, identità civica, gli Stati Uniti ci hanno costruito gran parte delle fondamenta del loro impero.
E così, gioca la carta televisiva. A calare l’asso per primi sono stati gli anglosassoni: BBC e CNN non sono solo indistruttibili corazzate informative, ma anche potenti veicoli di diffusione culturale. E Pechino ha imparato la lezione: l’espansione economica e strategica non può non passare per la cultura; soprattutto ora, quando tutto il mondo è a portata di telecomando.

Scelta oculata.
La scelta del mondo arabo è lungimirante: la possibilità di stringere relazioni con i paesi di quella che viene definita nuova via della seta è un’occasione troppo ghiotta per lasciarsela scappare, soprattutto quando ci sono da vincere le resistenze del mondo islamico che cerca spiegazioni riguardo il sangue versato nella regione a prevalenza musulmana dello Xinjiang. Vicende per le quali il governo cinese accusa un coverage parziale e difforme dei reporter occidentali, etichettati come “prevenuti”.

I precedenti
Insomma, più si allarga il mercato mediatico, più si sente il bisogno di alzare la voce, di far sentire la propria versione dei fatti, come era successo con Al Jazeera, il cui slogan recita proprio ” l’opinione e l’opinione contraria”. L’emittente satellitare del Qatar nasce, infatti, con la vocazione ad essere l’altra faccia della medaglia: è stata proprio la Guerra del Golfo, zenit dell’americanissima CNN, a far sentire ai paesi arabi la mancanza di voci in grado di diffondere l’informazione con una sensibilità più vicina ai propri interessi strategici e geopolitici. E poi, scelte indovinate, come la copertura approfondita della Seconda Intifada, o la decisione di aprire un ufficio di corrispondenza in Afghanistan ben prima dell’intervento statunitense, hanno portato Al Jazeera ad emanciparsi completamente dai quadri interpretativi forniti dalle principali emittenti occidentali, con la possibilità di diffondere scelte tematiche e argomentative proprie anche attraverso un canale in inglese.

Paese che vai, media che trovi...
A cadere è il monopolio occidentale dell’informazione. Non sono più solo i broadcaster europei e statunitensi a dominare il mercato informativo, ma fanno capolino, e acquistano diritto di parola, anche emittenti espressione di voci che fino a pochi anni fa erano troppo flebili per farsi ascoltare, o che avevano come massima espressione solo forme di grossolana propaganda.
Non senza paradossi: in un mondo dove i divi di Hollywood sono icone che trascendono le culture, e il linguaggio della pubblicità corre incurante di confini, frontiere e passaporti, l’informazione rischia di diventare sempre più regionale, frammentaria, legata a interessi e idiosincrasie particolari, malgrado la sua potenziale diffusione su scala globale. Il tutto esasperato dalle caratteristiche proprie delle notizie al tempo del web,sospese tra il moltiplicarsi delle fonti e il diffondersi delle informazioni senza che ci sia necessariamente un severo professionista di guardia al cancello.

martedì 11 agosto 2009

Ancora domiciliari per Aung San Suu Kyi.


E così, si è risolto il processo ad Aung San Suu Kyi. Ancora arresti domiciliari, per lei: ne avrà per altri diciotto mesi. L'accusa era di violazione degli arresti domiciliari. Ma, per molti, è soltanto l'ennesimo tentativo di controllo del regime. La donna, infatti, avrebbe finito di scontare la sua pena lo scorso 21 maggio: la sua reclusione durava dal 1989.

John William Yetahaw, il cittadino americano mormone che lo scorso tre maggio aveva raggiunto a nuoto la dimora della leader dell'opposizione, è stato invece condannato a sette anni di lavori forzati.
L'uomo ha dichiarato che a spingerlo verso la residenza della donna era stata una visione che ne faceva, a suo dire, presagire un imminente assassinio.

San Suu Kyi è stata condannata a tre anni dal tribunale militare. Una pena commutata in un anno e mezzo di arresti domiciliari dal generale Than Shwe, capo della giunta militare attualmente al potere: un tempo sufficiente per escludere il capo della Lega Nazionale per la Democrazia dalle prossime elezioni, previste per il 2010.